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Beni ricevuti in donazione: problematiche e rimedi

Beni ricevuti in donazione: problematiche e rimedi

La donazione di beni immobili può dar luogo a problematiche in sede di rivendita. La donazione è un "acconto" della futura eredità.

Il donante già in vita provvede a trasferire gratuitamente i beni ai futuri eredi. Nel caso in cui il beneficiario della donazione intenda successivamente vendere il bene donato, l'acquirente del bene può stare tranquillo?

In realtà deve preoccuparsi perché se al momento della morte del donante non ci sono beni sufficienti a soddisfare la quota di legittima spettante ai legittimari (coniuge e figli)  costoro potrebbero impugnare la donazione e soddisfarsi sui beni donati. E questi soggetti hanno tempo 10 anni dalla morte del donante per far valere i loro diritti. Ed egualmente nel caso che sopraggiungano altri legittimari.

I legittimari hanno diritto alla restituzione dei beni, liberi da pesi e gravami  e quindi perderà efficacia anche l'eventuale ipoteca concessa a favore della banca a garanzia di mutuo contratto per l'acquisto/ristrutturazione dell'immobile. E questo costituisce il motivo per cui le banche fanno difficoltà a concedere finanziamenti a soggetti che acquistano beni di provenienza donativa

Ma quali soluzioni possono prospettarsi per risolvere il problema?

Una prima soluzione potrebbe essere quella di far partecipare all'atto di vendita, oltre al donante e al donatario, i futuri legittimari per prestare garanzia a favore del compratore.

Tali soggetti garantiscono il venditore (donatario) che è lui il proprietario del bene con la conseguenza che se al momento della morte del donante questi non abbia beni nel suo patrimonio sufficienti a soddisfare i diritti di tutti i legittimari, il compratore potrà rivalersi non solo nei confronti del venditore ma anche nei confronti degli altri soggetti che hanno prestato garanzia.

Ma sono possibili  altri rimedi: la rinuncia all'opposizione e la rinuncia all'azione di restituzione.

Con la rinuncia all'opposizione, prevista dalla legge n. 80 del 2005, decorsi 20 anni dalla donazione i legittimari potranno pretendere i loro diritti solo su una somma di denaro pari al valore della quota di legittima e non potranno avere in restituzione l'immobile oggetto della donazione e successiva rivendita.

La difficoltà dell'operatività di tale norma è data dal fatto che devono decorrere 20 anni dalla donazione e che fino a tale momento tutti i soggetti partecipanti all'atto devono essere in vita.
Per rendere significativo tale rimedio si avrebbe dovuto ridurre almeno alla metà il termine.

Con la rinuncia all'azione di restituzione i legittimari partecipanti all'atto di donazione rinunciano in caso di lesione di legittima a richiedere la restituzione dell'immobile oggetto di donazione.

Tale rinuncia all'azione di restituzione è cosa diversa dalla rinuncia all'azione di riduzione che è possibile invece fare solo dopo la morte del donante: se fatta in vita del donante, è nulla.

Il Tribunale di Torino con sentenza del 26 settembre 2014 e il Tribunale di Pescara con decreto del 25 maggio 2017 hanno ritenuto legittima una tale rinuncia. È un notevole passo in avanti verso la circolazione degli immobili di provenienza donativa. I giudici di merito hanno fondato la loro motivazione sulla diversa natura delle due azioni. L'azione di riduzione ha natura personale mentre l'azione di restituzione ha natura reale.

L'azione di riduzione mira ad ottenere l'inefficacia della donazione lesiva, mentre l'azione di restituzione mira a recuperare il bene.
La prima azione ha carattere universale (unica azione contro tutti i beneficiari delle disposizioni lesive) .
La seconda azione è particolare, in quanto è diretta contro il singolo donatario.
 
Anche gli studiosi della materia riconoscono la diversità delle due azioni e l'ammissibilità della rinuncia all'azione di restituzione che non contrasta con il divieto dei patti successori.

 La soluzione preferibile e definitiva sarebbe quella dell'intervento legislativo,  come da decenni proposto dal notariato e cioè tramutare la quota di legittima in un diritto di credito ad una somma di danaro corrispondente al valore dei beni caduti in successione e donati.